“Voi adesso ci appartenete”

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Una grande sala gialla, un lungo tavolo che vede seduti attorno una decina di studenti della Regina Mundi tra medie e superiori, qualche professore e i nostri nuovi amici. Ciascuno si presenta, racconta qualcosa di sé e poi inizia il dialogo intenso sulla scuola e sull’educazione. “Cosa vi piace di questa scuola?” chiede una studentessa ucraina. Una sottolineatura fra tutte prevale e ritorna nelle risposte dei nostri ragazzi: “Siamo molto aiutati dai professori e ci aiutiamo anche tra di noi”. “Con gli insegnanti c’è un’ amicizia e non un rapporto di paura”. “Mi piace che gli insegnanti ci incoraggiano, ci aiutano, non dicono mai che non sei fatto per qualcosa” incalzano i nostri studenti uno dopo l’altro.

Questa osservazione è ciò che più colpisce i ragazzi ucraini, il punto per il quale notano e sottolineano immediatamente una differenza rispetto alla loro esperienza: “Siamo sorpresi da questo atteggiamento, che ogni persona, ogni alunno ha importanza” e ci raccontano che normalmente i loro insegnanti li giudicano solo in base ai voti e non c’è un aiuto reale e un accompagnare chi fa più fatica, “da noi non è così, da noi gli insegnanti non credono in te”.

Matteo, il rettore della scuola, interviene e ci tiene a spiegare, sorridendo, che questa non è una normalità. “Quello che voi avete notato, questa unicità nel rapporto con gli studenti, il fatto che gli studenti sono preziosi, non è un’esperienza che fanno tutti gli studenti in Italia. E’ una esperienza che si fa in questa scuola e che nasce da una certa idea di educazione. Perché l’educazione passa solo attraverso un rapporto vero, ha a che fare col significato profondo di te. L’educazione è per scoprire per cosa siamo fatti e allora è un cammino che si può fare insieme, professori e studenti”.

Colpisce subito a fondo come in questo dialogo abbiamo scoperto un po’ di più “chi siamo”; già, perché accade sempre così: riscopri chi sei davvero solo dentro ad un incontro, quando dovendo raccontare di te, ti ritrovi costretto a rendere ragione delle parole che dici, del perché e del come fai le cose. Possiamo dire che questa maggiore presa di coscienza è il primo fiore di gratitudine di questa mattina.

Ma il dialogo continua e Matteo, sollecitato da alcune domande, racconta della drammatica e miracolosa origine della scuola Luigi Giussani di Kampala dove lui ha trascorso gli ultimi 10 anni. “La scuola in Africa è nata da una guerra di più di 20 anni che dal 1986 1l 1989 ha ucciso più di 100.000 persone” e “dalla storia di alcune donne che durante la guerra hanno subito le cose più terribili”.

Ma ad un certo punto della loro misera vita queste donne, che sopravvivevano e volevano solo lasciarsi morire, incontrano Rose, una infermiera, che comincia a stare con loro condividendo una esperienza: “Ciascuno di noi ha un valore infinito che il male ricevuto e fatto o la malattia, non può ridurre o eliminare. Tu sei voluto bene”. Queste donne ci hanno creduto e hanno iniziato a curarsi e per i loro figli hanno voluto una scuola, perché anch’essi potessero conoscere il valore che sono.

Immediatamente la mente corre al dolore e al male che la guerra sta portando in Ucraina, nelle vite di questi ragazzi e di tanti loro amici. Il parallelismo balza agli occhi e si accende di speranza perché nel racconto di Matteo è evidente che la guerra non è l’ultima parola come non lo è stato per le donne di Rose. C’è già qualcosa, qualcosa che cambia i loro volti adesso.

Occhi vispi, volti sorridenti, sereni, insomma 16 studenti come tanti se ne incontrano, ragazzi qualunque ma che qualunque non sono perché questi nostri nuovi amici arrivano da Kiev, in Ucraina, da questa terra provata da una guerra che dura ormai da quasi un anno.

Si dice che gli occhi non mentono, ma allora da dove arriva questa apparentemente inspiegabile letizia? E’ impossibile non rimanerne stupiti e così sorge la domanda: “Ci colpisce molto il vostro volto, la pace e serenità, anche la vostra felicità, ma voi vivete uno degli aspetti più difficili che un uomo può affrontare, la guerra. Da dove viene quello che vi leggiamo sul volto?”. “Siamo vivi, la nostra famiglia è viva, abbiamo una casa”, cose alle quali nessuno di noi ha pensato alzandosi stamattina dal letto. “Dio è con noi”. “Abbiamo la speranza” intervengono i ragazzi ucraini.

Padre Nikolaj sorpreso e grato della domanda si interroga profondamente. “Mi pare che mi aiuti la fede in Dio. Io sono certo nonostante c’è l’aggressione e le cose negative”. Continua: “Noi dobbiamo fare quello che possiamo e costruire la vita. Volevo portare fuori dall’Ucraina i ragazzi e far loro vedere il positivo perché il positivo può iniziare a fiorire anche dentro le cose negative. Dobbiamo fare cose positive soprattutto nelle circostanze brutte”. E ancora: “L’amore cambia l’altro, chi ci è vicino. Cristo è venuto e ha portato l’amore e solo partendo da qui si può iniziare un cambiamento della società”. Il racconto delle donne in Africa è la testimonianza che è proprio così, che il male non vince, che il male può essere salvato quando sei guardato come un dono prezioso.

Matteo incalza: “Voi siete responsabili di questa speranza davanti al mondo. Guardandovi io riconosco un grande segno di ciò che questa speranza significa”. Padre Nikolaj conclude ricordando Luca 17, 21 “Il regno dei cieli è dentro di voi” e aggiunge “Ecco questo regno dei cieli si riflette nei volti dei ragazzi che avete osservato”.

Un giro della scuola e poi una foto finale, tutti assieme, a voler fermare questo istante di bellezza. La gratitudine è tanta e si continua a scattare ancora, un’ultima foto, si fa quasi fatica a staccarsi.

“Voi adesso ci appartenete” afferma il Rettore “e voi a noi” replica il padre ortodosso che, sorridendo commosso, ci invita tutti in Ucraina.

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