Testimoniare una ipotesi di senso
L’inizio del nuovo anno scolastico è stato segnato da un evento che ha sconvolto tutti: un ragazzo di diciassette anni ha tolto la vita al fratello minore, alla madre e al padre, senza un motivo apparente. Alle autorità ha spiegato di aver agito per liberarsi da un profondo malessere interiore, un disagio che, però, non sembrava avere alcun legame con i suoi familiari. Da tempo si sentiva solo, estraniato dalla sua famiglia ma nessun segnale lasciava presagire la tragedia.
Per me, rettore di questa scuola, l’impatto con questo fatto è stato fortissimo. Un pensiero e una preghiera sono andati a tutti i protagonisti della vicenda, le povere vittime e questo ragazzo, che potrebbe essere un nostro alunno e che si trova davanti un’intera vita da vivere segnata da quanto accaduto. È impossibile non sentire una stretta al cuore per lui e per tutti noi. Si è di fronte ad un male e ci ritroviamo capaci di compierlo.
Senza giudicare l’origine del delitto, qui ogni presunzione di coglierne la ragione sarebbe scorretta e cercando di non generalizzare, penso comunque ai tanti ragazzi e ragazze che avvertono un malessere e spesso lo comunicano – nei temi, nelle canzoni trap, nell’astinenza dal cibo, nel rapporto tossico con il proprio corpo e altrui –, ma altrettanto spesso lo tengono dentro.
A volte qualcuno di loro chiede un dialogo, un confronto personale. In queste circostanze, colpisce la percezione di un disagio senza nome, ma sempre più comune e profondo: è un vuoto interiore, un’assenza di senso, di ragioni, un isolamento radicale. Come notava tempo fa Umberto Galimberti, le domande dei ragazzi non esprimono più l’ansia di liberazione tipica degli anni Settanta, ma un’incertezza radicale sull’esistenza.
«Se la felicità non esiste, che cos’è dunque la vita?», scriveva il venticinquenne Leopardi all’amico Jacopsen. Questa domanda, presente in filigrana nell’essere di ogni uomo, nei ragazzi è percepita in modo estremamente drammatico, anche se spesso inconsapevole. Se sapessero che questo grido, tante volte soffocato e nascosto come qualcosa di sbagliato, è in realtà la cosa più preziosa che hanno! Si tratta di una urgenza inscritta nel cuore, un bisogno inestirpabile dell’essenziale, di qualcosa che dia senso a tutta la vita. È una follia questa domanda? No, è una promessa.
Me lo ha fatto capire anni fa Rose Busingye, infermiera e direttrice del Meeting Point International di Kampala in Uganda (struttura che accoglie centinaia di donne affette dal virus dell’HIV), quando mi chiese con la sua geniale concretezza: «Perché esiste lo stomaco? …Esiste perché c’è il cibo. Pensa che tragedia se avessimo lo stomaco e il cibo non ci fosse! Lo stesso è per il cuore e il suo desiderio di infinito: se esiste è perché quel che cerchiamo c’è».
Lei si poneva di fronte a me con una certezza desiderabile, con una semplicità che rendeva evidente la verità che viveva. È lo sguardo di un altro che entra nella vita e la rende consapevole delle esigenze infinite del proprio cuore e, contestualmente, ne svela la risposta. Per questo la vita si realizza in una trama di rapporti. Non siamo fatti per essere da soli, siamo relazione. Diceva don Giussani: «Non dico: “Io sono” consapevolmente, secondo la totalità della mia statura d’uomo, se non identificandolo con “Io sono fatto”. È da [questo] che dipende l’equilibrio ultimo della vita, perché la verità naturale dell’uomo è la sua creaturalità, l’uomo è un essere che c’è perché è continuamente posseduto», cioè amato.
Occorrono testimoni di questo amore, perché noi siamo fatti naturalmente, strutturalmente per un amore. Urge una compagnia che raggiunga i ragazzi, urgono volti carichi di annuncio, capaci di indicare un’ipotesi positiva: «Amico, quello che cerchi c’è!».
Per questo, nulla è più importante, in questo nuovo inizio d’anno scolastico, che ciascun docente e genitore si possa mettere umanamente in gioco, testimoniando ai propri studenti e figli un’ipotesi di senso, e che l’ambiente scolastico favorisca questo coinvolgimento, generando un ambiente propositivo, oltre che amante della libertà di ciascuno. Occorrono adulti e ragazzi che, per l’esperienza che vivono, gridano al mondo che la felicità di cui parla Leopardi c’è, per questo possiamo cercarla insieme.
Chiedo a voi tutti di aiutarmi in questa grande responsabilità.
Buon inizio d’anno.
Matteo Severgnini
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