Adulti di speranza

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Freddy (1080 x 720 px)

Durante lo scorso Avvento ai ragazzi dei nostri licei è stata data l’opportunità di acquistare delle focacce il cui ricavato è stato devoluto per il finanziamento di AVSI, un’organizzazione no-profit, che realizza progetti di cooperazione allo sviluppo e di aiuto umanitario in 42 paesi, Italia inclusa. Più concretamente parlando la cifra raccolta a seguito della suddetta vendita è andata a beneficio della L. Giussani High School, una scuola di Kampala, capitale dell’Uganda, paese che lo scorso anno si trovava ancora al 24° posto tra gli stati con il maggiore indice di povertà.

Ma che cosa vuol dire essere povero? Per rispondere faccio mie le parole di un caro amico della Regina Mundi, Fredy Komakech, che lo scorso 10 dicembre 2024 ha voluto incontrare i nostri ragazzi per ringraziarli dei fondi raccolti a favore del suddetto istituto, di cui attualmente è docente.

«La povertà è relativa. – così diceva Fredy – Non mi sono mai sentito povero in Uganda nonostante la guerra, perché avevo da mangiare, avevo mia nonna, avevo i miei zii, e avevo tutto ciò di avevo bisogno […]. C’è sempre la tentazione di dire: “Voglio un sacco di soldi”, e anch’io cado in questa tentazione. Ma quello che ho imparato è che nonostante i soldi che hai, se non c’è relazione, tu rimarrai povero. I soldi, allora, non avranno significato, le macchine, le case, nulla avrà significato, ma in un rapporto tu hai tutto».

Qualora qualcuno sia tentato di obiettare che quanto appena riportato sia pura retorica, mi permetto di dire che per il nostro testimone d’eccezione la parola povertà ha il volto dei suoi genitori, deceduti durante la guerra civile, ha l’odore della capanna di sua nonna, in cui, ancora ragazzo, si è dovuto trasferire, ha il colore della cava di pietra dove, per mantenersi, è stato costretto ad estrarre la roccia a picconate sotto il cocente sole tropicale. Insomma, per Fredy essere povero non è qualcosa di astratto, ma di concreto. È una condizione che si può vedere, sentire, toccare, ecc. E forse è stata proprio questa povertà “vissuta” a spingere il nostro amico a non considerare sé stesso e gli altri per quello che hanno, ma per quello che sono, imparando a dare valore all’unica cosa che resta per sempre, ossia le relazioni che abbiamo costruito, a partire da quella fondante, da quella con Dio.

È probabile, inoltre, che le parole di Komakech siano suonate provocatorie alle nostre orecchie di occidentali, figli di un’Europa in cui la crisi delle relazioni è sempre più lampante. Basterebbe, infatti, fare quattro passi nei corridoi di qualsiasi scuola italiana per rendersi conto che ciò che inficia maggiormente la vita dei nostri studenti è proprio l crisi dei rapporti interpersonali, sia nei confronti dei pari, che degli adulti, con pericolose derive sempre meno rare come quella dell’hikikomori.

Sarebbe utopistico credere che una situazione di questo tipo possa risolversi da un giorno con l’altro, ma un primo cambiamento può, anzi, deve partire da noi: infatti, solo diventando adulti capaci di speranza, possiamo infondere fiducia nell’insicurezza pervasiva dei nostri alunni. Proprio come è stato per Fredy, il quale grazie all’incontro con lo sguardo fiducioso di Rose Busingye, fondatrice e direttrice di Meeting Point International (MPI), che già abbiamo avuto il piacere di conoscere lo scorso anno, è riuscito a prendere in mano la propria vita, per metterla al servizio degli altri.

Emanuele Lietti
Docente di Lettere
Liceo Scientifico e Linguistico

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